Scoprii il Postmoderno (nel senso anche e soprattutto filosofico del termine) seguendo le strampalate lezioni di un eccentrico ed egocentrico professore di storia dell’architettura che mi toccò per divisione alfabetica per i primi due anni di corso. Mi sentivo molto lontano dalla cifra estetica di chi il Postmoderno lo traduceva in stile, ma l’idea di un mondo molteplice e incerto mi attirava moltissimo (mi chiarii su questi temi tempo dopo, giunto all’ultimo anno, frequentando con pochi altri spericolati lo splendido corso mattutino di Teorie dell’Urbanistica di Silvano Tintori). Quello che però non ci disse Lyotard (o che non capii io, che con quei testi facevo sempre un certa fatica…) è che la fine delle grandi narrazioni ci avrebbe consegnato un mondo di tifosi, dove ciascuno avrebbe sostenuto le proprie posizioni con la generosa, immotivata e cieca convinzione con cui si sostiene la propria squadra del cuore.