N.S.F.W. Forse vi siete imbattuti in questa sigla, girando per l’Internét. Se navigate in rete solamente la sera, a casa vostra, in un angolo buio del divano, dopo aver messo a letto la famiglia, non è necessario che ne conosciate il significato.
N.S.F.W. Not suitable for work. Ovvero: della necessità di avere dei rudimenti di lingua inglese per poter navigare in rete senza fare clamorose figure di merda. Perché, se non capite l’inglese, potreste aver inavvertitamente seguito un link contrassegnato da questa sigla nel momento o nel luogo sbagliato, ritrovandovi lo schermo ingombro di immagini licenziose o disgustose proprio mentre il vostro capo (o vostra moglie) passavano dietro le vostre spalle.
Che poi, di questo argomento bisognerebbe trattare in un post apposito, ovvero di quelle persone che, annoiate, pensierose, indecise, sfaccendate, soprappensiero, si piazzano alle vostre spalle guardando il vostro monitor con aria distratta. Ne conosco alcune che lo fanno. Non ho mai infierito perché sono persone a me care, ma in quei momenti potrei brandire un machete.
N.S.F.W. Not suitable for work. Non appropriato al lavoro. Recita Wikipedia: “NSFW è l’acronimo di Not Suitable/Safe For Work, ossia non appropriato, non sicuro al lavoro, viene usato principalmente su siti, forum, blog e chat per indicare URL o collegamenti a materiale sessualmente esplicito, volgare o potenzialmente offensivo, in modo che l’utente possa evitare di incapparvi inavvertitamente durante l’orario di lavoro, a scuola o in situazioni di privacy limitata.” Ah, la saggia Wikipedia.
Pubblico normalmente il Paolone nelle ore antemeridiane del lunedì. Entro sera, è stato letto dal primo centinaio di lettori. Supponendo che il mio pubblico sia solo parzialmente composto da massaie e pensionati (che pur non mancano, e me ne vanto), questo vuol dire che un numero discreto di persone lo legge sul posto di lavoro.
Certo, oggigiorno è difficile stabilire cosa sia il posto di lavoro. Mi è capitato recentemente di sostenere che sia “corretto individuare nella connettività diffusa l’opportunità di superare l’identificazione fordista della produzione con un (unico) luogo specificatamente deputato al lavoro, portando parti sempre più ampie della società verso un approccio nomade o poligamico all’attività lavorativa.” (va che ne scrivo di boiate, anzichenò) Diciamo, in un italiano più sensato e paolonesco, che pur nel pieno della nostra giornata lavorativa, capita di essere nei luoghi (e con i dispositivi) i più vari. Non è questa la sede per discutere se ciò sia bene o male, ma certamente possiamo affermare che alcuni di noi non passano l’intera giornata in un cubicolo di un open-space alla Dilbert.
Se però accettiamo l’estensione del concetto di N.S.F.W proposta da Wikipedia, e consideriamo come delicate tutte le situazioni di “privacy limitata”, il problema rimane. Dove potete leggere il Paolone, e dove no? Il vostro capo si arrabbierebbe se, piombando alle vostre spalle, scoprisse che state leggendo il Paolone invece che il Corriere della Sera? (Perché qui non si tratta di discutere il personale diritto al fancazzismo, che è altra questione, ma cosa sia presentabile o non presentabile in un luogo pubblico.) È meglio essere beccati in flagranza di Paolone o in fragranza di una merendina consumata di nascosto? Cosa penserebbe di voi il vostro vicino di metrò se sapesse che siete lettori di Paolone?
In realtà, più in generale, trovo interessante indagare quali siano le diverse rappresentazioni di noi stessi che offriamo al mondo; in parte ne abbiamo già ragionato, parlando di social network e di pseudonimi. Come avrete capito, la cosa mi affascina parecchio. E allora vi chiedo, quali sono i vostri interessi N.S.F.W.? Quali parti di voi sono impresentabili in condizioni di “privacy limitata”? Cosa non mostrereste nemmeno al vostro compagno di scrivania, che pur vi ha visto scaccolarvi e vi ha sentito litigare con il vostro fidanzato per inezie imbarazzanti?
I confini sono labili, e i più abili comunicatori della Società dell’Informazione sembrano flirtare con ostinazione con tutte le condizioni di margine. Se siete, per esempio, appassionati come me di informazione urbana un po’ underground, e leggete VICE o MilanoX, sapete quanto sia facile ritrovarsi con aperta una pagina sostanzialmente porno, per quanto indie. Altrettanto si può dire per la riga che divide lo spazio centrale dalla colonna destra sulla Repubblica o sul Corriere nelle versioni on-line, linea di confine tra il giornalismo (suppostamente) serio e il gossip soft-porno caciarone. Nella rete alto e basso, porno e casto, si mescolano con grande promiscuità.
Qui, però, ci interessano le “visite” che compiamo deliberatamente. Se ritenete ragionevole conoscere nel dettaglio le principesche grazie di Kate Middleton, siete disposti a correre il rischio che la vostra collega vi sorprenda a rimirarle? O magari nel vostro ambiente è più disdicevole farsi beccare il lunedì mattina a compulsare i risultati calcistici sulla Gazza on-line? Oppure ancora, temete che le vostre letture tradiscano orientamenti e simpatie politiche che sapete non condivise dal vostro ambiente?
Ritenere che gli altri non debbano sapere di cose che facciamo (si suppone quindi, ritenendole lecite e opportune) è ragionevolezza o ipocrisia? Bon-ton o codardia? E dove si colloca di volta in volta il margine insuperabile? Se sapeste che il vostro vicino di ombrellone conosce i passaggi più espliciti del vostro libro peccaminoso, lo leggereste lo stesso in sua presenza? Quando siete soli mangiate con la stessa grazia (o assenza di) che riservate agli ospiti di maggior riguardo? Se scopriste che un vostro collega legge il vostro blog, e quindi sa tutto di voi, riuscireste a rimanere seri mente discutete con lui?
L’avvento della Società dell’Informazione e dell’era del web 2.0 ci spinge a ridefinire radicalmente alcuni concetti; tra questi, sicuramente, quello di privacy e, più in generale, di rappresentazione del sé (e non si tratta solo di identità web – anche se questo è forse l’aspetto più evidente del fenomeno). Ciascuno di noi tende ad avere una quantità sempre maggiore di personalità parallele, tanto virtuali quanto reali. Nel mio caso: marito e padre di famiglia moderatamente progressista, architetto libero professionista con piccola ma orgogliosa attività, docente universitario per quanto precario, rappresentate (eletto o nominato) con ruolo istituzionale, autore di un blog settimanale molto personale, attivista anarco-ambientalista dal passato tardo-comunista, oggi confusamente libertario con saltuarie derive liberiste. Personalmente ho una pericolosa tendenza a confondere le diverse identità, forse spinto da una comprensibile necessità di sintesi, forse per spirito esibizionistico. Prima o poi combinerò qualche guaio, ne sono certo.
Cercavo un’immagine per illustrare il concetto di N.S.F.W. e ho inserito la sigla in Google come criterio di ricerca. Ho cliccato la ricerca per immagini. Di giorno. In casa. Mentre, seduta di fronte a me, mia figlia faceva (per la seconda volta in vita sua) i compiti di scuola. Per fortuna nessuno dei presenti ha l’abitudine di guardare lo schermo da dietro le spalle. Per fortuna sono straordinariamente veloce nel chiudere le finestre del browser (+W). Non fatelo.