Ma anche a voi capitano le mattine juliaroberts?
Ma sì, dai, quelle mattine che quando suona la sveglia vi sembra di tornare da un viaggio intercontinentale, che quando vi guardate allo specchio vi rendete conto che non sono tanto i capelli a essere spettinati, è proprio l’anima. Quelle mattine in cui poi con una lunga doccia iniziate a ristabilire i contatti con il mondo e con una tazza di caffè fumante rendete improvvisamente possibili interazioni sociali fino a poco prima inimmaginabili. Che quando vi decidete finalmente a uscire c’è una bella giornata di sole – che a settembre è un dono e non una punizione – e l’idea di pedalare fino al lavoro inizia a essere quasi allettante.
È a quel punto, che – attraverso un misterioso bluetooth mistico – nelle vostre orecchie inizia a risuonare, chessò, un Nat King Cole, e la mattina diventa juliaroberts.
Mentre passate in bicicletta, il vicino misantropo vi sorride dalla scaletta su cui si è abbarbicato per potare la sua rosa: è forse la prima volta (che vi sorride, non che pota la rosa). Poco più avanti, la mamma che vi taglia la strada diretta all’asilo immersa nello schermo del suo telefonino (dove sarà il figlio?), vi guarda con inaspettata gratitudine quando sente stridere i vostri freni. I semafori diventano verdi quando vi avvicinate e il terrificante incrocio che normalmente pare una scultura moderna in lamiere d’acciaio è sgombro come a Ferragosto. Lungo la via non ci sono macchine in seconda fila che vi obbligano a pericolose gimcane e i negozianti spazzano felici il marciapiede davanti alla loro vetrina (avreste giurato stessero sculettando all’unisono). Il distinto signore in bicicletta davanti a voi sembra sentire la stessa musica e per un lungo tratto pedalate allo stesso ritmo, che manco Coppi e Bartali sul Col du Galiber.
Attraversando il parco incrociate giovani signore che dissimulano lo scarso entusiasmo per la giornata lavorativa che sta iniziando portando a spasso le loro abbronzature, restie ad abbandonare le eteree mise estive, e gessati giovantotti che procedono a passo elastico, dissimulando non di meno, verso gli ascensori che li spediranno da qualche parte a guardare di sottecchi il panorama dietro allo schermo del loro PC. Signori più attempati portano a spasso cani di ogni taglia e foggia e nei loro occhi si legge ancora il piacere di queste passeggiate mattutine. Il ragazzo dalla pedalata energica che stavate per incrociare rallenta e vi lascia il passo, salutandovi con un ampio gesto della mano (eppure siete abbastanza sicuri di non conoscerlo), l’umanità varia in coda per il vaccino chiacchiera e si confronta, unita forse dalle speranza, forse dalla fifa.
Nella piazza dove più volte avete rischiato l’osso del collo le regole della precedenza scandiscono il ritmo dei passaggi, il Codice della Strada come fosse un manuale di Bachata. I ragazzi davanti a scuola (i ragazzi davanti a scuola! e solo ora sappiamo quanto poco sia una cosa scontata) si raccontano le vacanze, liberi ancora per un poco dall’incubo dei voti e dei compiti in classe. Persino il benzinaio non sembra così scocciato quando ne attraversate il regno con la vostra bicicletta, minacciando con le vostre scelte scriteriatamente sostenibili la solidità del suo reddito.
Alla fine del percorso, il custode vi saluta con gioia e il palo dove legate la bicicletta vi aspetta libero. Davvero una bella pedalata. Solo, inspiegabilmente, non avete incontrato Julia Roberts. E, ancora più inspiegabilmente, in ufficio non vi aspettano eseguendo una coreografia di Bob Fosse. Anzi, nessuno sembra essersi accorto di nulla.
Eppure… “L” is for the way you look at me, “O” is for the only one I see, “V” is very, very extra-ordinary… “E” is even more than anyone that you adore can …
Allora, anche a voi capitano le mattine juliaroberts?
[da leggere ascoltando, per esempio, “L-O-V-E” (Bert Kaempfert, Milt Gabler), Nat King Cole dall’album L-O-V-E, 1965]
❤👏
Ebbene sì, mi capitano, dall’inizio alla fine
Grazie adesso so come si chiamano quelle mattine
È un pò che non mi capitano più le mattine juliaroberts, ho sempre uno zaino in spalla, qualcuno da tenere con una mano, la bici o il monopattino nell’altra, più cacche di cane da schivare, proprietari di macchine parcheggiate sul marciapiede da maledire, corte gambe di bambine da incitare. Quando finalmente resto sola, devo percorrere un km contromano in bicicletta o monopattino sperando e pregando non mi investano e non mi venga un’intossicazione da smog, nelle orecchie mi risuona solo Chop Suey dei System of a Down anche se cuffiette non le uso e poi finalmente arrivo a casa o in ufficio, il PC acceso ad aspettarmi, l’ascella è pezzata e il thermos da mezzo litro di caffè comincia a diminuire velocemente. L’incubo mi aspetta alle 11.45, quando devo rifare tutto da capo, sperando solo che il traffico sia diminuito.
Il 22 settembre, quando finirà l’orario ridotto, spero di incontrare Richard Gere.