Non ero a Genova in quei giorni di luglio di venti anni fa.
Non ero a Genova per tante ragioni e per nessuna in particolare. Non ero a Genova perché – benché per molti aspetti mi sentissi vicino alle ragioni che lí avevano portato tanti ragazzi – in quell’ambiente mi sentivo fuori luogo, chissà perché. Non ero a Genova perché la Chrissi non ha mai amato le grandi adunanze e ha sempre preferito manifestare le sue opinioni e il suo dissenso con pratiche più minute e concrete. Non ero a Genova perché mi sentivo qualche anno di troppo, perché non avevo più vent’anni. Non ero a Genova perché non sapevo con chi andarci. Non ero a Genova perché sono pigro. La realtà è che non ero a Genova quasi per caso e per nessuna ragione in particolare.
Non ero a Genova in quei giorni di luglio di venti anni fa: ero a Perugia, a Umbria jazz. Inizialmente ignari di quello che a Genova succedeva, ballavamo con Ray Gelato, ascoltavamo ammirati John Scofield e i suoi ragazzi, giravamo per la città ubriachi di musica e di bellezza.
Poi, tornando a casa, abbiamo iniziato a sapere, a sentire, anche se certo non a capire. Guidando sulla via del ritorno ascoltavamo angosciati la radio e pensavamo ai tanti amici che a Genova ci erano andati. Ricordo che provai sensazioni intense e contrastanti: mi sentivo fortunato per essermi risparmiato tutta quella paura e tutto quel dolore e al contempo mi sentivo in colpa per non aver aggiunto il mio corpo a quella massa critica che voleva cambiare il mondo.
Poi, nelle settimane, nei mesi, negli anni che seguirono scoprimmo cosa era successo, sentimmo storie agghiaccianti. Nel tempo è maturato in me un senso di profonda gratitudine per chi a Genova c’era andato, a dire quello che in sostanza anche io pensavo. E un senso di dolorosa ingiustizia di fronte a quei fatti, di fronte all’impunità e all’arroganza del poteruncolo poliziesco, di fronte a una politica nel migliore dei casi superficiale e inadeguata, nella peggiore complice e mandante.
Poco dopo quel luglio, venne quel settembre, e nulla fu più come prima. Venne la paura, vennero guerre lontane ma così presenti, venne la convinzione che tutto era troppo complicato, troppo pericoloso, troppo.
Visto con gli occhi di oggi, c’era una straordinaria, commuovente ingenuità nel pensare che si potesse cambiare il mondo sedendosi in una piazza con le mani alzate pittate di bianco, nel pensare che i potenti avrebbero ascoltato, che le differenze non avrebbero contato, che i violenti non avrebbero prevalso, che ci trovassimo in uno stato di diritto. C’era una straordinaria, commuovente ingenuità nelle canzoni di Manu Chao, nelle reti, nei collettivi, nelle assemblee… perfino nelle tute bianche. Mi manca molto, quell’ingenuità, quella rabbia fiduciosa, quel dissenso desiderante. Forse mi mancano i miei venticinque anni, o forse no.
Di una cosa però sono abbastanza certo: quelli che andarono a Genova avevano ragione. Forse non lo sapevano, ma avevano ragione. Forse non su tutto, ma avevano ragione. E la gran parte dei difetti che il mondo allora aveva, e che loro inutilmente ci indicavano, ci sono ancora, e forse sono peggiorati. Abbiamo, in questo senso, perso vent’anni: per duro che sia ammetterlo, è così. Abbiamo fatto altro, anche cose utili e buone, ma sulla giustizia globale, sull’ambiente, sulle migrazioni non ci siamo quasi mossi. Il mondo è più globalizzato di quanto allora potessimo immaginare, ma è una globalizzazione in una sola direzione: quella che conviene ai paesi ricchi, quella che conviene all’uno-per-cento, quella che non guarda al futuro, quella che distrugge il pianeta. E intanto in ampie fasce di popolazione, spesso quelle più deboli, ha prevalso una reazione conservatrice e egoistica, localista e rozzamente identitaria, sfiduciata e antiscientifica.
Oggi, guardando fuori, viene da pensare che c’è un mondo intero da ricostruire: ma non li avevo allora, vent’anni: figuriamoci ora! Ed eccomi quindi a sperare che chi viene dopo di noi possa fare quel che non siamo riusciti a fare, che nostri figli ci possano superare, che le cose ancora possano cambiare. Avanti, ragazzi: venite fuori, fatevi valere (e scaricatevi le canzoni di Ray Gelato e di Manu Chao).
Se non l’avete fatto, ascoltate Limoni, il podcast realizzato da Annalisa Camilli per Internazionale.