Il 27 marzo 1994, dopo aver votato, siamo partiti. Eravamo in cinque, al primo anno di architettura e amici di quelle amicizie acerbe e entusiasmanti tipiche delle nuove fasi della vita. A bordo di una gloriosa Y10 bianca, abbiamo mosso alla volta della Toscana. Cinque giorni suppostamente culturali, ma principalmente alcolici e mangerecci, a spasso per i colli della Val d’Orcia. Montalcino, Pienza, Bagno Vignoni, San Quirico d’Orcia; osterie, trattorie e ettolitri di Sangiovese in tutte le sue forme. Compravamo i quotidiani a mazzette e, durante gli spostamenti, la Lalla faceva la rassegna stampa. Chissà se eravamo coscienti di assistere a un passaggio epocale che avrebbe avviato un ciclo destinato a durare quasi vent’anni. Francamente, credo di no. Però ci siamo divertiti molto.
Negli anni a venire il paese era destinato a DriveInizzarsi. Tette, culi e barzellette diventarono il vocabolario della vita pubblica. La politica, che da giovanissimo avevo amato molto, si degradò a una robaccia da sottobosco di potere. Anche se in questi anni si sono succeduti governi di diverse parti politiche, il protagonista assoluto di questa stagione è stato, senza tema di smentita, il degrado della civiltà.
Io non so se sabato 12 novembre alle 21 e 43, quando Silvio Berlusconi si è dimesso, è davvero iniziata la fine di un’epoca. Se anche fosse, come spero, dobbiamo però rassegnarci al fatto che ci vorrà molto tempo e altrettanto lavoro per ricostrure tutto quello che in questi anni è stato distrutto.
Comunque, in questi ultimi 6.500 giorni ho fatto alcune cose.
Sono stato studente di architettura. Appassionato, svogliato, polemico, utopista, velleitario, pragmatico. A Milano, a Valladolid, a Sevilla e, di passaggio, anche a Bruxelles, a Malmö, a Samarcanda. Ho conosciuto un sacco di gente interessante, altri ne ho persi per strada; ho avuto alcune fidanzate. Mi sono perfino laureato. Ho fatto il bidello in una scuola materna e ho conseguito un Dottorato di Ricerca. Ho conosciuto un’austriaca e me la sono sposata. Ho fatto due figli (per quanto il mio apporto sia stato e sia assolutamente marginale). Ho cercato di lavorare divertendomi: ho fatto lavori con molte persone, quasi tutte speciali (le persone, non i lavori). Alla fine ho aperto, con due splendide socie, un pericolante studio di architettura. Ho progettato molte cose e ne ho costruite alcune. Ho avuto centinaia di studenti che spero si ricordino di me (io ricordo con affetto alcuni di loro). Ho continuato a credere nel dovere di sognare un mondo migliore e nella necessità di fare, almeno ogni tanto, qualcosa che ci sembra utile perché questo mondo sia un poco più vicino.
E, in tutta serenità, vorrei dire una cosa: mi dispiace, Cavaliere, ma, nonostante Lei, questi diciassette anni me li ricorderò come bellissimi.